Onorevoli Colleghi! - L'attività della pesca nelle acque interne interessa moltissimi cittadini, nell'ordine del milione, ma è ancora regolata dal testo unico della legge sulla pesca, di cui al regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1604, nonché da una serie di provvedimenti di delega dallo Stato alle regioni e da queste alle province, senza che vi sia una cornice entro la quale individuare le linee di indirizzo più consone per la gestione delle attività della pesca nelle acque interne secondo i più aggiornati criteri.
      La presente proposta di legge ha come scopo primo quello di individuare detta cornice, anche alla luce della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, colmando quindi un vuoto normativo pluriennale.
      Nell'articolato sono stati inseriti princìpi molto moderni, ricavati dalle esperienze realizzate in Paesi quali la Francia e il Canada.
      La fondamentale novità consiste nel considerare la fauna ittica presente nelle acque interne italiane non più res nullius, bensì «patrimonio indisponibile dello Stato», la qual cosa è di rilevanza concettuale e pratica notevolissima in quanto introduce la possibilità, da parte dello Stato e delle regioni, di proporre azione penale verso tutti coloro i quali sono stati ritenuti responsabili di gravi atti a danno della fauna ittica delle acque interne.
      Il legislatore in materia di pesca nelle acque interne, nel caso di specie le regioni, disciplinerà la materia conseguentemente, secondo i princìpi della conservazione e della gestione della risorsa naturale rinnovabile, quale è da considerare la fauna ittica, in funzione non più di un mero prelievo di sfruttamento bensì ponendosi l'obbiettivo della preservazione della risorsa per le generazioni future.
      Il principio della cogestione, richiamato dai postulati dei più prestigiosi organismi

 

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internazionali, quale il «Codice di condotta per una pesca responsabile» predisposto dalla FAO, intende far sì che i cittadini pescatori, utilizzatori della risorsa, siano responsabilmente chiamati a gestire in maniera diretta la risorsa medesima assieme al legislatore e non come avviene oggi in posizione subalterna di mero soggetto consultato.
      Questa impostazione permette anche di dare valore al territorio e alle esigenze che dal territorio provengono; in particolar modo il territorio montano, dove gli ambienti acquatici sono «sensibili» ad una elevata pressione di pesca e dove le popolazioni residenti si sentono spesso esautorate dalla gestione di un bene del loro territorio, stante la vigente impostazione legislativa e normativa della materia.
      Per questo viene dato valore e prestigio alle associazioni locali di pesca, con ciò richiamandole alla diretta responsabilità della gestione della fauna ittica e dell'ambiente acquatico circostante mediante operazioni di rinaturalizzazione dei corsi d'acqua.
      La Francia ha ottenuto risultati invidiabili per quel che attiene il coinvolgimento diretto degli utenti, una gestione sempre più condivisa e quindi accettata della risorsa ittica e la creazione di una diffusa coscienza fra tutti i cittadini, anche non pescatori, del valore che deve avere l'utilizzo razionale e ragionato di ciò che la natura ci mette a disposizione.
      Il problema dei diritti esclusivi di pesca, in tempi poco lontani trattato ancora in termini prettamente ideologici, è qui affrontato e risolto con la volontà di unire e non di dividere.
      Dal Canada, e precisamente dal Québec, abbiamo recepito il metodo delle zone di gestione controllata.
      Va detto che in quei territori coincidevano moltissimi atavici diritti non solo di pesca, ma anche di caccia e di passaggio o calpestio. Dopo anni di conflitti legali senza né vinti né vincitori, ma con l'unica certezza che tali diritti sono comunque diritti reali con contenuto patrimoniale, lo Stato del Québec ha intrapreso con saggezza e lungimiranza la via della cogestione; affidando cioè la gestione dei diritti ai cittadini direttamente interessati alla loro utilizzazione, riuniti in associazioni locali regolate da statuti predisposti dallo Stato medesimo in un quadro normativo generale molto sensibile alle esigenze del territorio.
      Questo viene proposto oggi per l'Italia.
      Viene inoltre definita l'istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla pesca nelle acque interne, presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, quale organismo di monitoraggio, allo scopo di avere una visione d'insieme della tematica e di tenere sotto controllo il fenomeno dell'importazione di materiale ittico alloctono, ai fini del ripopolamento, proveniente non sempre da Stati comunitari, comunque soggetti alle direttive di polizia veterinaria, ma anche e soprattutto da Stati non ancora vincolati a pratiche di controllo sanitario e genetico cogenti.
      In tale senso, proprio per la sua articolata rappresentatività, l'Osservatorio potrà e dovrà fornire linee di indirizzo e di comportamento soprattutto agli organismi di polizia veterinaria di frontiera per arginare un fenomeno tanto diffuso quanto sottovalutato.
      Con queste premesse e su questi princìpi la presente proposta di legge non intende in alcun modo limitare i poteri oggi propri dei vari enti locali. In primo luogo le regioni, cui spetta il compito fondamentale di legiferare sulla materia; alle regioni viene chiesto di adoperarsi affinché l'attività della pesca nelle acque interne, oggi fenomeno prettamente ricreativo e non più alimentare di necessità, sia regolata in maniera chiara, responsabile, attenta al territorio, partecipata e accettata.
      Non si possono e non si devono dimenticare le province, che in tutti questi anni sono state i soggetti pubblici cui lo Stato prima e le regioni poi hanno riconosciuto e riconoscono un ruolo centrale e insostituibile di raccordo territoriale, e che dispongono inoltre di una serie di dati storici sulla gestione della pesca nelle acque interne. È per questo che si ritiene non solo che debbano essere loro conferite tutte le funzioni amministrative già esercitate
 

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in base ai precedenti ordinamenti normativi, ma ci si attende anche che le regioni, nel momento di legiferare in base alle esclusive responsabilità ad esse oggi affidate, sappiano e desiderino avere al loro fianco le province, portatrici di pluriennali esperienze.
      Infine, la definizione di una tassa di concessione unica regionale sulla pesca nelle acque interne tende a raggiungere almeno due fondamentali obiettivi connessi al principio della cogestione.
      Il primo consiste nel parametrare l'ammontare del prelievo fiscale nel settore a quanto concretamente si vorrà fare per preservare e gestire la risorsa ittica, rapportandone l'ammontare alle effettive necessità emergenti dal territorio.
      Il secondo, non meno importante, consiste nel prevedere una ripartizione non rigidamente predefinita fra i vari soggetti attori della cogestione; con ciò a dire che anche la ripartizione degli introiti derivanti dalla tassa unica avverrà in maniera articolata ed elastica, governata da un lato dalle esigenze del territorio e dall'altro dalle progettualità più consone per il mantenimento della risorsa.

 

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